Storia della Sardegna


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Preistoria e storia della Sardegna



Storia della Sardegna

Preistoria e storia della Sardegna

In Sardegna non sono state reperite ancora testimonianze del periodo paleolitico: esistono invece notevoli indizi della presenza umana nel periodo neolitico ed eneolitico, ai quali appartengono i giacimenti delle caverne di Cagliari (capo S. Elia) e del territorio di Iglesias, i resti di gruppi di abitazioni dislocati in varie zone, e le innumerevoli caverne artificiali, distinte in piccoli complessi.

Tra queste ultime rilevanti sono quelle del sepolcreto di Anghelu Ruiu presso Alghero, a stanze intercomunicanti, con moltissime armi e arnesi di ossidiana, punte di freccia in selce, coltelli in bronzo; nella ceramica è presente il "bicchiere a campana". Nella necropoli sono stati trovati per lo più teschi allungati del tipo mediterraneo.

in Sardegna si diffuse, durante l'età del bronzo, la civiltà nuragica: i nuraghi sono edifìci megalitici, che servivano da abitazione o da fortificazione, costruiti in zone dove maggioro mente si rivelavano necessari; notevoli sono quelli tra Sassari e Oristano. Allo stesso periodo appartengono le necropoli dolmeniche, denominate tumbas de sos gigantes o domus de janaso o tombe dei Giganti. Molto diffusi sono nell' età del bronzo i templi che si presentano o a cella rettangolare, situati in genere sulla cima dei monti, o a pozzo, ricchi di piccoli vasi votivi.

Sulla popolazione indigena dei Sardi cominciarono a sovrapporsi dapprima elementi di provenienza fenicia, che intorno al sec. VI a.C. avevano occupato la fascia costiera dell'isola. Questi Fenici, soprattutto Cartaginesi, si opposero vigorosamente ai tentativi d'insediamento dei coloni greci di Focea, i quali riuscirono a fondare soltanto Olbia prima che la sconfitta subita nel 535 ad Alalia rendesse irrealizzabili le loro mire sull'isola. Nonostante qualche ribellione delle tribù indigene dell'interno, la rimase per alcuni secoli in mano ai coloni fenici, che ebbero i loro centri più importanti in Caralis (Cagliari), Nora, Tharros, Bosa e nella stessa Olbia. Ordinate politicamente alla maniera cartaginese, tali città avevano un'economia soprattutto marittima, ma svilupparono anche l'agricoltura, praticata dagli indigeni assoggettati e da schiavi trapiantati dall' Africa.

Quando scoppiò il conflitto tra Roma e Cartagine, nelle acque della Sardegna si svolsero operazioni navali, e poco dopo la conclusione della prima guerra punica (2642-41), che segnò la fine della dominazione cartaginese in Sicilia, anche la Sardegna passò ai Romani a causa della defezione dei mercenari cartaginesi che la presidiavano, e insieme con la Corsica costituì una delle province dello impero.

Con il crollo dell'Impero d'Occidente s'aprì il periodo delle invasioni e della decadenza: occupata per quasi un secolo dai Vandali, fu ripresa dai Bizantini (534) che la mantennero a lungo. In questo periodo si dispiegò nell'isola la benefica "Opera riordinatrice" della Chiesa, ma tra il sec. VIII e il sec. X di nuovo imperversarono scorrerie e saccheggi per opera dei Saraceni che misero in serie difficoltà le popolazioni locali. Fu anzi la necessità d'una più efficiente difesa e sicurezza che portò a una particolare organizzazione che comprendesse un unico capo civile e militare, o iudex, e condusse poi all'istituzione dei «giudicati», cioè delle quattro distinte aree geografiche sottoposte allo iudex: essi furono in origine quelli di Cagliari, Arborea, Logudoro e Gallura.

Nei secoli seguenti si stese sulla Sardegna l'influenza di Pisa, che svolse una politica di interessata tutela al fianco della Chiesa, sicché l'arcivescovo di Pisa fu nominato vicario pontificio nell'isola, con primazia sui vescovi delle diocesi locali. Dopo Pisa anche Genova s'inserì nella vita politica sarda, soprattutto per controllarne il movimento commerciale ed economico; tra i due contendenti vi fu una lotta a vasto raggio con l'intervento a vario titolo del Papa e di Federico II; né più tranquilla scorreva la vita dei giudicati assai spesso in lotta tra loro. Il predominio pisano comunque subì un fiero colpo in seguito alla disfatta della Meloria (1284) e alla conseguente pace (1288) che consegnò in mano ai Genovesi larga parte della Sardegna; in definitiva il periodo pisano e quello genovese avvantaggiarono la vita nolitica, sociale e civile dell'isola che avrebbe diversamente avuto uno svolgimento di assai più angusto respiro.

Da Papa Bonifacio VIII ebbe l'investitura sull'isola Giacomo II d'Aragona e poco più tardi (1326) gli Aragonesi, favoriti da varie circostanze, se ne impadronirono del tutto: non tardò però a scoppiare tra i nuovi padroni e l'elemento indigeno una vivissima lotta che si manifestò con violenza a più riprese. Fu Alfonso V d'Aragona che, vinte le ultime resistenze dei giudicati, riunita tutta la Sardegna sotto il suo dominio, rafforzando ulteriormente la situazione degli elementi catalano-aragonesi che vi si erano stabiliti. Dopo di lui Ferdinando il Cattolico cercò d'ispanizzare l'isola che conobbe un periodo di decadenza. Inefficaci furono i provvedimenti di Filippo II per favorire lo sviluppo agricolo dell'isola, e a nulla valsero i tentativi miranti a limitare il potere dei grandi feudatari. All'epoca della guerra di successione spagnola, nell'isola prevalse il partito filoaustriaco e con il trattato di Utrecht (1713) la Sardegna fu assegnata all'Austria.

Ma in seguito all'iniziativa spagnola del cardo Alberoni, l'isola passò a Vittorio Amedeo II di Savoia (trattato dell' Aia, 1720). Durante il regno di quest'ultimo e soprattutto sotto il figlio Carlo Emanuele III, fu avviata, a opera dei viceré G. B. A. San Martino d'Agliè e Rivarolo e G. L. Bogino (1759-73), una politica riformatrice, volta a limitare i privilegi del clero e a favorire lo sviluppo economico dell'isola. Nel 1792-93 i Francesi tentarono invano di impadronirsi deII'isola. La guerra perduta dai Savoia e l'affermarsi delle repubbliche napoleoniche sul continente vi ebbero profonde ripercussioni; in parecchi luoghi dell'isola scoppiarono insurrezioni a sfondo soprattutto antifeudale, ma non prive di fermenti antigiacobini e anche comunistici.

Capo del movimento fu Gian Maria Angioi. Gli stamenti, (Organismi rappresentativi locali), rivendicarono l'autonomia dell'isola. Domata l'insurrezione, a cui seguì una sanguinosa reazione, l'Angioi fu costretto a riparare in Francia. Carlo Emanuele IV e il suo successore Vittono Emanuele I, sconfitti e scacciati dal Piemonte a opera delle truppe francesi, vi trascorsero vari anni, senza riuscire tuttavia a pacificare del tutto l'isola dove nel 1802 a Aggius (Sassari) fu proclamata la repubblica. Dopo la restaurazione il viceré Carlo Felice effettuò parecchie riforme legislative e amministrative, riprese e ampliate poi da Carlo Alberto che nel 1835 vi abolì il feudalesimo.

nel 1847, iniziatosi ormai anche in Piemonte il moto delle riforme, l'autonomia dell'isola venne abolita, e anche ad essa, quindi, venne esteso, l'anno successivo, lo Statuto. Da allora la Sardegna, particolarmente legata alla dinastia sabauda, ha condiviso le sorti prima del Piemonte e poi dell'Italia.

nel dopoguerra la Sardegna, con legge del 2 febb. 1948, in attuazione della Costituzione, è stata costituita in Regione autonoma a Statuto speciale: la sua autonomia si esplica nella potestà legislativa, esclusiva in alcune materie minori e sussidiaria in altre. Sono organi della Regione il Consiglio regionale, eletto ogni quattro anni a suffragio universale in ragione di un consigliere ogni ventimila abitanti; il presidente della Giunta regionale, eletto dal Consiglio, che è il rappresentante della regione autonoma; la Giunta, costituita dal presidente e da sette assessori, che esercita il potere esecutivo della regione.